Intervista al professor Federico Rupi (2 parte)
Andrea Boschiero intervista Federico Rupi, ingegnere e docente di pianificazione dei trasporti all’Università di Bologna.
Considerando che l’Italia è maglia nera in Europa per inquinamento atmosferico e morti da inquinamento, l’obiettivo del Comune di arrivare a un 14% di spostamenti in bicicletta, potrebbe essere più alto? Non è forse poco? Mi sembra che si faccia un’enorme fatica a porre in cima all’agenda politica alcuni problematiche, come questa, che riguardano la qualità della vita.
Questa è più politica che tecnica dei trasporti, ma la mia impressione è che si può chiaramente migliorare. Bisogna comprendere la sostenibilità nelle sue tre accezioni, economica, ambientale e sociale; bisogna considerare la sostenibilità sotto questi tre aspetti ma la situazione è completamente differente rispetto a quella che si studiava appena qualche mese fa perché si è registrata una grande contrazione in termine di flussi, sia di auto che flussi di ciclisti.
Adesso stiamo conducendo, proprio in questo periodo, uno studio in merito. I risultati sono da analizzare con dettaglio ma mi aspetto che ci sia anche una certa riduzione dei flussi di ciclisti legati a questa contrazione della domanda di trasporto complessiva. Il fatto è che si lavora più da casa e ci si sposta meno.
I flussi sono diminuiti in termini assoluti sia per quanto riguarda le bici che per le auto, però in proporzione le auto sono probabilmente aumentate perché vengono utilizzati meno i trasporti pubblici. Le bici invece pensa che possano subire, anche loro, un contraccolpo o con il ritorno degli studenti tornerà a essere utilizzata come prima?
Io sono convinto che potrebbero essere penalizzati di più certi trasporti e purtroppo faccio riferimento ai trasporti pubblici. Questa è una situazione che mi preoccupa un po’, abbiamo visto delle immagini di grandi affollamenti ma purtroppo la situazione è legata anche a un peccato originale. Nei trasporti pubblici spesso c’è, anzi c’era, una densità di passeggeri per metro quadrato inaccettabile. Si parlava anche di 8 persone a metro quadrato, questo significa che se scendiamo anche al 80%, il famoso 80%, siamo a 6,4 persone a metro quadrato, 6 persone sono una sopra l’altro, se arriviamo anche al 50% sono 4 persone al metro. Insomma, sono situazioni poco compatibili con il distanziamento sociale.
Un discorso invece diverso riguarda la bicicletta, non sono preoccupato più di tanto. Sono convinto che chi andava prima in bicicletta e adesso ha deciso di non spostarsi perché rimane a casa, tornerà a usare la bicicletta. Il settore del trasporto pubblico è più preoccupante.
Rispetto alla mobilità ciclistica la spinta maggiore, per incentivare l’utilizzo della bicicletta, sarebbe puntare ancora di più su infrastrutture ragionate, che creino maggior connessione. Queste strutture devono comprendere anche aree di sosta perché Indubbiamente la paura di subire il furto della bicicletta resta un elemento fondamentale. Ovviamente c’è anche il discorso della sicurezza. Servirebbero aree con il limite dei 30km/h, il differenziale di velocità è un elemento estremamente importante.
Quindi infrastrutture e sicurezza. E per la seconda, dobbiamo fare tutti la nostra parte, una maggiore educazione stradale sarebbe gradita. In Olanda si ha quasi la sensazione che una persona che usa la macchina è appena scesa dalla bicicletta. C’è un’attenzione molto diversa è culturale. Però, secondo me, è un meccanismo che, con l’incremento della mobilità ciclistica, piano piano si sta innescando anche qui.
Ha citato l’Olanda, crede che sia il modello di riferimento, potremmo avvicinarci e potremmo applicarlo?
Anche la Danimarca, sostanzialmente è la patria di riferimento. Ci sono situazioni molto interessanti, anche per la priorità che viene data ai ciclisti. In caso di incidenti la responsabilità viene in grossa misura attribuita al veicolo e non al ciclista. Ci sono degli esempi sicuramente che bisogna prendere in considerazione guardando quei posti dove la ripartizione modale è ben oltre il 14%.
Però spesso i problemi nascono non solo con le auto ma anche con gli autobus. Sappiamo bene quanto sia problematico il fenomeno del sorpasso e controsorpasso, io lo insegno; la velocità media degli autobus è sui 14km/h all’ora nelle ore di punta, considerando le fermate. Quindi succede che un ciclista sorpassa e si fa sorpassare in continuazione quando percorre un tratto trafficato anche dagli autobus. Siamo ben consapevoli dei rischi che questa situazione comporti, quando si dice puntiamo di più sui trasporti pubblici e sulle biciclette, sono assolutamente d’accordo. Teniamo però presente che spesso queste due componenti non vanno d’accordo.
Esiste uno studio che ha calcolato i costi esterni causati dai sistemi di trasporto stradali, qualche anno fa, erano intorno al 3% del PIL.
Ovviamente ci sono tanti problemi: incidentalità, inquinamento atmosferico, inquinamento acustico sono tutti aspetti che si possono in qualche modo stimare. Il problema è che, a livello europeo, non c’è una uniformità nel monetizzare questi effetti. Quindi 1kg di anidride carbonica o 1kg di monossido di carbonio, di ossidi azoto quanto, monetariamente, costa? Questo è chiaramente un aspetto importante, se a livello europeo, e qui rientra però la politica, ci fosse uniformità nel quantificare il costo di una tonnellata di anidride carbonica, sarebbe più facile un po’ per tutti. Si potrebbe cominciare a pensare a spostare questo flusso di denaro, si potrebbe risparmiare attraverso investimenti mirati.
Credo sia importante arrivare a una progettazione della mobilità che vada a considerare i costi esterni in maniera più diretta, anche più organica.
Ad esempio, le accise sui carburanti. l’Iva sui carburanti è comunque una componente rilevante, molto rilevante. E con questo si cercava almeno in parte anche di inglobare le esternalità, però è chiaro che non è sufficiente. dobbiamo pensare a una reale alternativa all’auto offrendo anche dei mezzi di trasporto collettivo che siano all’altezza. In tutta Italia abbiamo una lunghezza delle linee metropolitane che è inferiore alla dotazione di Madrid, della sola città di Madrid tanto per avere un ordine di grandezza. Quindi c’è un ritardo livello infrastrutturale, sul servizio di trasporto collettivo, non su gomma su gomma. Chiaramente in Italia abbiamo un’enormità di chilometri offerti molto più che in altri paesi europei. Ma il nostro ritardo lo abbiamo su dei sistemi di trasporto, tram e metropolitane, che possono attrarre una quota consistente di utenza.
Servizi alternativi come il PRT (Personal Rapid Transit), che lei ha studiato, sarebbero applicabili?
Sarebbero applicabili ma dipende dai contesti. Inizialmente era nato come servizio di navetta tra Aeroporto e parcheggi, quindi come servizio di collegamento su una relazione molto limitata. Poi in realtà può essere anche esteso a una rete. Sostanzialmente prevede un eventuale scavo molto limitato se si va sotto terra e delle strutture in sopraelevazioni molto esili perché abbiamo da trasportare dei carichi non particolarmente pesanti. Quindi potrebbe essere certamente un’opzione da prendere in considerazione. Tenga conto che il PRT è un sistema automatizzato in cui non c’è il conducente, ma a differenza dei veicoli a guida autonoma, che andrebbero a interferire con tutto, sarebbe su una sede propria, in sotterranea o sopraelevate, quindi da non sottovalutare.